lunedì 22 novembre 2010

Bocchino lancia la battaglia sul marchio? Ma stiamo scherzando?

La guerra si sposta sul "marchio registrato" si legge sui giornali. Bocchino vuole vietare a Berlusconi di usare nome e simbolo del Pdl. "Simbolo e nome del Pdl sono in comproprietà con Fini e non può usarli". Ma sul sito ufficiale della Ue che tutela marchi e brevetti registrati in Europa accanto al marchio Popolo della Libertà è scritto: "Nome del titolare: Silvio Berlusconi". Così è, anzi ai marchi del Pdl (plurale), perchè ce ne sono cinque versioni, con diciture leggermente diverse, ma tutti intestati al premier. Ma Bocchino non si arrende: "C’è un atto siglato davanti al notaio Bacchetti in cui si evince chiaramente che il titolare del simbolo del Pdl è Berlusconi, ma che lui stesso ha ceduto l’utilizzo del simbolo e del nome all’associazione del Popolo della Libertà della quale fa parte Gianfranco Fini". Insomma, per il capogruppo di Fli a Montecitorio non ci sono dubbi sulla titolarità del simbolo, che appartiene al Cavaliere. Ma ci sono dei vincoli per il suo utilizzo: "Fino al 31 dicembre del 2014 non lo può usare senza il consenso di Fini visto che secondo l’atto costitutivo dell’associazione del Pdl serve l’unanimità di un organo in cui oltre a Fini sono presenti altri due esponenti del Fli: questo c’è scritto nell’atto firmato davanti al notaio".

Questo è veramente il colmo! Bocchino (così precisino…) non ha notato una stortura sul fatto che esponenti del nuovo Fli accampino pretese sul vecchio Pdl? Cioè che esponenti di un partito neo-costituito rivendichi titolarità su un partito di cui non fanno più parte? Secondo la logica delle cose una volta dimessi da una qualsiasi associazione (soprattutto politica) se ne perdono tutti i diritti. E’ come se un membro della bocciofila della parrocchia una volta dimessosi volesse ancora influire sulla bocciofila stessa. E’ un contro senso! Se lo stesso Bocchino ha ammesso che la titolarità del simbolo appartiene a Silvio Berlusconi cosa vuole ancora dal Pdl da dimissionario quale è?

Il paradosso semmai da contestare è il caso Fini, che è (primo nella storia della Repubblica) cofondatore di due partiti coesistenti. Fini non può continuare ancora per molto a tenere un piede in due scarpe. O è iscritto al Pdl o è iscritto al Fli e se si ritiene iscritto al Fli non ha più alcun diritto sul Pdl, sul marchio, sul nome, ecc., ecc.

mercoledì 17 novembre 2010

Assemblea a favore del Governo Berlusconi.


Le contraddizioni di Futuro e Libertà

1. Il governo avrebbe disgregato la coesione sociale del Paese: perfino i sindacati hanno riconosciuto esattamente il contrario (i 35 miliardi di ammortizzatori sociali che hanno tenuto legati i lavoratori alle aziende in crisi ne sono la prova lampante).

2. Identità nazionale da preservare: i parlamentari di Fli hanno presentato un disegno di legge con la sinistra per svendere la cittadinanza italiana agli immigrati.

3. I cinque punti per il rilancio del governo che Fli ha votato compattamente alle Camere poche settimane fa vengono rinnegati, ponendo altre condizioni sulle quali si potrebbe tranquillamente discutere se non fossero palesemente pretestuose;

4. Fini ha chiesto le dimissioni di Berlusconi ma non si è minimamente posto il problema insieme politico e istituzionale di un presidente della Camera che chiede la crisi di governo, novità assoluta nella storia della Repubblica (e probabilmente anche del Regno).

5. Fini ha definito "una vergogna" l’attuale legge elettorale che lui stesso votò.

6. Si dicono bipolaristi e stanno per fondare il terzo polo con Casini e Rutelli.

7. Invocano un patto sociale allargato alla Cgil, come se il ministro Sacconi non ci avesse ripetutamente provato in questi due anni, ricevendo sempre come risposta dei no ideologici.

8. Il manifesto di Futuro e Libertà è quello di una forza tendenzialmente di sinistra, che ha totalmente cancellato la tradizione della destra italiana.

9. Dicono di essere un partito nuovo e adoperano modi e tattiche della prima Repubblica, come ad esempio il rimettere il mandato nelle mani di un leader di partito, come fatto dalla delegazione di governo finiana.

10. Dicono di essere di centrodestra e vogliono abbattere il premier e il governo scelto dagli elettori di centrodestra e con il quale hanno governato fino a venerdì scorso.

lunedì 15 novembre 2010

Premier sfida il Colle.

Silvio Berlusconi è tornato a farsi sentire. Il premier ha telefonato alla manifestazione del Pdl a Milano e ha rilanciato l'ipotesi di sciogliere solo la Camera, nel caso in cui a Montecitorio venisse votata la sfiducia. Ipotesi che ha scatenato le opposizioni e Fli. Italo Bocchino ha attaccato: "E' solo un escamotage, ed è preoccupante". E oggi, i ministri di Fli lasceranno il governo come annunciato. Ma il Fli ha paura: e se in Aula le colombe non tradiscono Silvio? I finiani e l'Udc preferirebbero (furbi!) le dimissini del premier perchè quello di giustizieri del governo è un ruolo scomodo. Il premier, comunque, ha ribadito l'intenzione di voler iniziare la verifica al Senato, nonostante le proteste che sono arrivate anche dall'Udc. "Andremo avanti a governare con una fiducia che ci verrà data al Senato - ha detto il premier - che penso ci verrà data anche alla Camera, e se ci dovesse essere una fiducia che non c'è alla Camera benissimo, si andrà a votare per la Camera stessa dei deputati e vedremo che cosa decideranno gli italiani".

SILVIO NON MOLLARE!

domenica 14 novembre 2010

La sferzata di Marina a Bocchino.

La frecciata è di quelle velenose. E per essere sicuro che le tossine facessero effetto, l’onore­vole Italo Bocchino l’ha ripetuta due volte davanti alle telecamere di Annozero . Si parlava delle dimissioni dei finiani al governo che arriveranno domani, per «ga­lateo istituzionale»: così si è capito quanto Futuro e libertà tenga alle buone maniere, come siano beneducati i suoi mi­nistri che, prima di pugna­­larlo, aspettano che il pre­mier rientri dall’Estremo Oriente e trascorra (augu­rio bocchiniano) «una do­menica in famiglia ad Arco­re e una serata con Lele Mo­ra ». Michele Santoro non credeva alle sue orecchie: «Battute così non ce le sia­mo mai consentite nemme­no Travaglio e io». Ma il veleno vero stava nella coda. Il braccio armato di Fi­ni ha spiegato che si dimettevano per­ché «Berlusconi ha detto: Palazzo Chigi è mio, l’ho costruito io, lo devo lasciare a Piersilvio e Mari­na ». Replicato due volte a distanza di pochi minuti per cer­tificare l’effetto. Nessuno nello stu­dio di Annozero ha raccolto l’accosta­mento del Cavaliere ai monarchi che ce­dono il trono in li­nea di sangue. È sta­ta invece la stessa Marina Berlusconi a reagire. L’ha fatto ieri in un breve dia­logo con l’agenzia Ansa. «Si è trattato di una battuta di pes­simo gusto, come del resto quasi tutto quello che dice l’onorevole Bocchi­no - ha ribattuto il presidente di Finin­vest e Mondadori, oltre che consiglie­re di Mediobanca - ; comun­que, battuta per battuta, ri­spondo che mio padre di ca­se ne ha già abbastanza, e che oltre tutto se le è pagate con il frutto del suo lavoro e con i suoi soldi, e non con quelli dei propri elettori e del partito». Ogni riferimen­to a Montecarlo è puramen­te voluto. Replica sferzante, che stronca la strampalata ipo­tesi di una successione per via ereditaria alla guida del Pdl.
Ma­rina è sempre stata accanto al padre, in famiglia e in azienda. Ne ha seguito le or­me nella carriera professio­nale, come manager del gruppo e in Mondadori. E negli ultimi mesi, con il sus­seguirsi degli scandali a sfondo sessuale e dopo la rottura del rapporto con Ve­ronica Lario, la primogeni­ta di Silvio Berlusconi si è messa alla testa dei quattro fratelli in sua difesa.
Continua dicendo: «C’è un’aria irrespirabile, l’op­posizione si fa con dossier e pettegolezzi. Un pezzo di Italia, piccolo ma pericolo­so, non riesce ad accettare il fatto che la maggioranza degli italiani vuol essere go­vernata da Silvio Berlusco­ni». Convinzione ribadita lo scorso settembre, dopo lo strappo di Gianfranco Fini e la disputa sollevata da al­cuni autori Mondadori: «Fi­ni ha accusato mio padre di stalinismo, ma in quanto ad assolutismo è lui a poter vantare innegabili frequen­tazioni. Siamo a Segrate da vent’anni, paghiamo 2,2 mi­lioni di euro di imposte al giorno: se la casa editrice è così, non lo è “nonostante” la famiglia Berlusconi, ma anche grazie al nostro esse­re liberali. Basta con l’eroi­smo a tassametro». In quel­l’occasione Marina rilan­ciò la polemica contro De Benedetti, imprenditore che «predica bene ma razzola male, malissimo», edi­tore di «un quotidiano che in fatto di editoria plurali­sta e liberale ha ben poco da insegnare». Un argine a tutto campo, una difesa de­cisa e convinta, tutt’altro che d’ufficio. L’allusione di ieri a Montecarlo segna una nuova tappa. «Mio padre si è sempre compor­tato allo stesso modo: reagi­re, andare oltre, costruire e guardare avanti».

Onoriamo il mandato del popolo.

In nessun paese europeo si sta discutendo del modo più bizantino o più furbo per far cadere un governo. In nessuno dei paesi tuttora alle prese con una crisi economica mondiale non ancora risolta, chi fa parte di una maggioranza o addirittura dei vertici istituzionali dello Stato sta studiando le mosse per congegnare crisi al buio, volte non a rafforzare ed accelerare le decisioni tempestive che la situazione e la responsabilità richiede, ma a disegnare futuri e futuribili nuovi scenari nell’interesse della politica dei partiti, e soprattutto di una parte.
Più semplicemente, in nessun paese si tenta di sostituire una maggioranza eletta con una minoranza sconfitta.


E’ davvero questo che si vuole per l’Italia? Di sicuro non lo vuole Silvio Berlusconi. Ha ricevuto un mandato a governare dalla maggioranza dei cittadini – mandato più volte confermato in varie consultazioni amministrative ed europee – ed ha l’intenzione di onorare quel mandato. Non sarà il premier a lasciare il Paese senza guida ed esposto alle speculazioni dei mercati, a rischiare di fare dell’Italia una nuova Grecia o una nuova Spagna. Quella delle crisi di governo “pilotate”, dei cambi in corsa delle maggioranze passando non per il Parlamento ma per i comizi di piazza e quindi per le anticamere dei palazzi, è una vecchia pratica che risale ai tempi di quando i partiti contavano più dei cittadini. Ma è anche e soprattutto un’illusione. Un calcolo sbagliato. Inoltre una tentazione che va contro ogni buon senso e rispetto istituzionale, e stupisce che venga dalla terza carica dello Stato, dal presidente della Camera che dovrebbe essere un garante (anche severo, ma garante) e non una parte pesantemente in causa. Un arbitro o un assistente di linea, non un giocatore che interviene a gamba tesa.


Il senso di responsabilità, soprattutto in questo momento, è ben altra cosa. Il senso di responsabilità è innanzitutto governare, perché questo è ciò di cui ha bisogno l’Italia. E’ ciò che chiedono le forze sociali, i lavoratori e gli imprenditori, ed anche i mercati che stanno in agguato sui nostri conti pubblici. La settimana scorsa due agenzie di rating, Standard & Poor’s e Ficht, hanno entrambe confermato il buon giudizio sulla nostra situazione economica, una pagella che, secondo S&P potrebbe addirittura essere rivista al rialzo (caso pressoché unico nel mondo) a condizione che l’Italia vada avanti nella stabilità politica e nel processo di riforme. Esattamente il contrario di ciò che abbiamo ascoltato ieri. Il senso di responsabilità è approvare la legge finanziaria - che si chiama non a caso proprio “di stabilità” - ed il piano di riforme 2020, quei due impegni che l’Europa ci chiede e che a Bruxelles dobbiamo inviare entro il mese di novembre.


Il senso di responsabilità, per noi e per l’intera Unione europea e la sua moneta, è concludere il duro negoziato sulle nuove regole finanziarie, che è l’argomento che tiene banco in tutto il mondo.
Il senso di responsabilità, inoltre, impone di portare tutto – cose da fare, leggi da discutere, accordi e disaccordi – in Parlamento, perché è solo quello il luogo deputato a comporre e scomporre maggioranze, è solo lì che possono o non possono cadere i governi, e soprattutto è solo lì che i fatti avvengono alla luce del sole. Rispondendone agli elettori, ai cittadini, ai contribuenti, alle forze sociali.


Qualcuno, in Parlamento, non in un comizio, dovrà a quel punto spiegare perché il capo del governo dovrebbe lasciare il proprio posto, e quindi venir meno alle proprie responsabilità, solo per una manovra di corridoio politico, proprio mentre la situazione economica e sociale richiede l’esatto contrario: di fare il lavoro per il quale gli italiani ci hanno designato. Se non lo si fa, se si indicano – anzi, si pretendono di imporre con ultimatum – vie traverse e oscure, si cerca di fuggire sia dalle responsabilità, sia dalla chiarezza, sia dalla realtà. Si viene meno al dovere più elementare dei politici, dei ministri e degli eletti: rispondere delle proprie azioni. Non ai propri simpatizzanti, ma al Paese e all’intero corpo elettorale. Ed in questo caso gli italiani, che non sono certo insensibili, avranno occhi per vedere, orecchie per capire, e soprattutto testa per giudicare. Con il loro cervello, non con quello altrui.

sabato 13 novembre 2010

Perché Berlusconi si deve dimettere?

Ma perché Silvio Berlusconi dovrebbe dimettersi? Perché l’ha chiesto, ad AnnoZero, Italo Bocchino, con queste testuali parole: "Silvio Berlusconi ritiene di avere costruito lui Palazzo Chigi e vuol lasciarlo ai figli Marina e Piersilvio"? Perché domenica scorsa in un comizio a Bastia Umbra il presidente della Camera ha invocato (anzi, intimato) un percorso bizantino di crisi "pilotata", con dimissioni del premier, allargamento della maggioranza all’Udc, reincarico allo stesso Berlusconi, nuovo governo con nuovo programma "da discutere"?

Se questa è la correttezza costituzionale e istituzionale di un partito appena fondato dalla terza carica dello Stato, siamo fuori da ogni prassi della Costituzione, che prevede le dimissioni del capo del governo – e di conseguenza dell’intero esecutivo – in due casi: se viene meno la fiducia in Parlamento, a seguito di un voto di sfiducia; o volontarie da parte del presidente del Consiglio, e in questo caso è prassi che il Quirinale rinvii sempre alle Camere il governo perché in Parlamento sia sanzionata la sfiducia.
Il governo non è – e la Costituzione lo impedisce – una sorta di albergo con le porte girevoli. Chi occupa una carica di rilievo nelle istituzioni dovrebbe saperlo, come chi, a cominciare dalla sinistra, ha sempre agitato il vessillo della difesa della Costituzione.

La realtà è che tutti, dalla sinistra a Fli, temono che una crisi di governo secondo Costituzione porti alle elezioni anticipate, che potrebbero essere impietose nei confronti di chi ha provocato la crisi.

Come è stato detto perfino in un talk show che ha fatto dell’antiberlusconismo la ragion d’essere, emerge che quella contro Berlusconi è "una fronda di palazzo", e che i frondisti risultano per quello che sono, cioè degli irresponsabili.

Da qui si torna alla domanda iniziale. Perché Berlusconi dovrebbe dimettersi? Il 29 settembre ha ottenuto dal Parlamento una fiducia larghissima su un programma di riforme economiche e sociali. Qualcuno che l’ha votato ha cambiato idea? Lo dica. Per la verità Fini qualcosa ha accennato: "I cinque punticini di Berlusconi…". Allora, se quei cinque punti erano solo punticini, i finiani possono andare in Parlamento e certificare che un mese e mezzo fa si erano sbagliati.

Se invece il motivo è diverso, cioè che nella maggioranza c’è chi vuol passare dall’altra parte, con la sinistra, certifichi questo suo ribaltone.

Perché Berlusconi dovrebbe dimettersi? Berlusconi è a palazzo Chigi non perché "l’abbia costruito lui", ma perché ce l’hanno mandato gli elettori e perché il Parlamento gli ha confermato la fiducia. La situazione economica italiana e mondiale, le cose fatte e da fare, sono tali da indurre un capo di governo e piantare a metà il proprio lavoro per consentire giri di valzer parlamentari?

In questa situazione economica non esiste in nessuna parte del mondo un governo che si dimetta per giochini di palazzo. I governi, tutti quelli del G 20 che ieri erano riuniti a Seul assieme a Berlusconi, governano e se ne assumono le responsabilità.

Berlusconi non ha detto che non si dimetterà a nessun costo, come sostengono taluni frondisti. Ha detto che lo farà se gli verrà meno la fiducia parlamentare, secondo prassi costituzionale. Ma nessuno, di quelli al lavoro su governi tecnici e ribaltonisti, ha il coraggio di mostrarsi per quello che è: uno che, anziché al Paese, pensa a ordire manovre. E poi dicono che lo fanno nell’interesse dell’Italia.

La storia si ripete. Ogni volta che ha legittimamente vinto le elezioni e ricevuto un mandato popolare, si cerca di "mandare a casa" Berlusconi. Non sconfiggerlo politicamente o sulle cose concrete: "mandarlo a casa". E’ accaduto nel ’95, la storia si è ripetuta nei 15 anni successivi. Per "mandare a casa" Berlusconi si sono coalizzate tutte le forze di sinistra, con il contributo costante delle procure. Si è fatto appello a tutto, dai veleni personali alle alluvioni. I governi che lo hanno sostituito erano talmente forti e credibili che una volta ne sono caduti cinque in cinque anni, e l’altra volta due in due anni.

Solo così si è mandato a casa Berlusconi. Ora, a quanto pare, ha deciso di dare una mano anche il presidente della Camera.
Abbiamo già detto che è paradossale che una carica istituzionale, anziché fare da arbitro, si getti nella mischia, commetta falli e tiri pure il rigore. Dovrà pure spiegare, ai suoi elettori, perché la "nuova destra" non vede l’ora di allearsi con la sinistra. Ma dovrà spiegarlo lui, non pretendere che un premier pienamente legittimato si faccia cortesemente da parte, per mere ragioni di potere altrui.

venerdì 12 novembre 2010

Ruby: "Silvio non e mio amico!"

Ruby, la protagonista dello scandalo che ha coinvolto il presidente del Consiglio, è tornata sotto le luci dei riflettori. Ieri sera, infatti, la ragazza marocchina è stata la madrina della serata all'Albikokka, locale di Genova di cui si festeggiava il quinto compleanno. E' arrivata a bordo di una Ferrari 430 rosso fiammante guidata da un amico e dall'alto del suo tacco 12 ha messo in chiaro: "Silvio non è un mio amico". Ha detto poi di aver accantonato il sogno di diventare carabiniere e annunciato che forse si trasferirà in Sicilia per insegnare danza del ventre.

Durante la serata, la ragazza che ha raccontato di presunti festini a sfondo sessuale a casa del premier ad Arcore ha detto: "Sono andata in questura per chiedere la cittadinanza, ma so che non me la daranno mai". Per questo, ha spiegato: "Dovrò rinunciare al sogno di fare il carabiniere".

Ma a Karima El Mahrouk, alias Ruby Rubacuori, le alternative certo non mancano visto che è molto richiesta in Italia e all'estero. Ma lei sembra avere altro per la testa: "Voglio andare a Catania, mi hanno offerto di insegnare la danza del ventre in una scuola di ballo. E io la danza del ventre la conosco bene anche se non sono egiziana ma marocchina: l'ho imparata da mia madre". Un riferimento, neanche troppo velato, alla ormai famosa telefonata che il premier avrebbe fatto in questura a Milano raccontando che era la nipote di Mubarak.

Milano non le piace più, ha detto: "Arrivi che sembra l'America ma ti chiedono sorrisi finti e compromessi. Meglio una vita tranquilla". Eppure ieri sera ha sfoggiato un griffatissimo abito turchese Yves Saint-Laurent. "Un regalo di compleanno di amici" ha spiegato, e qualcuno ha azzardato: "Anche di Silvio?", secca la risposta: "Silvio non è mio amico!".


Governo verso la crisi?

Lunedì Fli ritira la delegazione. Berlusconi: io resto.Il premier lascia il G20 di Seul evitando la conferenza stampa con i giornalisti italiani. Bossi ha fallito nella mediazione con Fini. Il capogruppo Fli Italo Bocchino ha annunciato ad Annozero che la prossima settimana i finiani al governo presenteranno le dimissioni. Italo Bocchino, capogruppo Fli alla Camera, lo ha annunciato ieri sera ad Annozero: "Finora i nostri ministri non si sono dimessi per garbo istituzionale, Berlusconi è in Corea", ma "lunedì troverà sulla scrivania le dimissioni dei nostri membri del governo". Futuro e libertà, ha ribadito Bocchino, chiede "un nuovo programma, una nuova maggioranza allargata e una terza compagine governativa. Solo dopo aver valutato queste questioni si deciderà chi deve fare il presidente del Consiglio, che ora è l'ultimo dei problemi". E ha aggiunto che "se la prossima settimana ci sarà un voto di fiducia sulla manovra non parteciperemo al voto", spiegando che in questo modo Futuro e libertà intende consentire il via libera della Finanziaria, come chiesto dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, dando però un segnale a Berlusconi sulla evidente fine della maggioranza e le conseguenti necessarie dimissioni.

martedì 9 novembre 2010

Silvio non mollare!

La Lega, di fronte al precipitare degli eventi, pretende l'approvazione dei decreti sul federalismo. E nello stesso tempo ha chiesto a Berlusconi di attivare un ufficioso canale di comunicazione con Fli. Una missione diplomatica che sarà portata avanti da ambasciatori del Carroccio. Un tentativo non ostacolato dal Cavaliere, ma che lo trova comunque scettico.
Silvio Berlusconi, infatti, considera la proposta di Fini di dimettersi, una provocazione, soprattutto perché preceduta da un intervento che segnava di fatto il de profundis del berlusconismo. Tanto che, sfogandosi ad Arcore, il premier avrebbe rilevato i rischi di una crisi. Di più, messa in quei termini sarebbe "come mettermi davanti a un plotone di esecuzione", un plotone a suo dire composto da avversari politici e magistrati.
E d'altra parte i falchi Fli spingono per ottenere risposte dal premier entro due giorni, pena il passo formale del ritiro della delegazione e dello scenario più traumatico per il governo, il precipizio della crisi. Spinte contrapposte, insomma, in un clima di sospetti e di confusione fra e dentro le forze della maggioranza.

mercoledì 3 novembre 2010

l'affondo sui gay, solo una battuta?

L' "etero pride" della Santanché e i sospetti di Paolo Guzzanti, secondo cui la frase del Premier non è stata una gaffe. Silvio Berlusconi, con una battuta sui gay, riesce ancora una volta a spostare l'attenzione della politica dal caso Ruby ("Ho un problemino", ha scherzato il Premier) a veri o presunti attacchi omofobi.

La frase, lo sappiamo, ha fatto il giro del mondo e stavolta pochi lo hanno giustificato al cento per cento. Fa eccezione Daniela Santanché, ormai autocandidatasi a Christine O'Donnell "de noantri", che ha detto: "Sono certa che tutti i genitori italiani sperano di avere figli eterosessuali. Non trovo che ci sia nulla di sconcertante nel ragionamento del Premier. Premesso che i figli si accettano come sono con identico affetto, e che stimo molti omosessuali, è evidente che la speranza di una madre è quella un giorno di diventare nonna ed evitare ai propri figli le difficoltà di vita insite in una condizione omosessuale. Il resto è soltanto una ipocrita adesione a una visione della vita politicamente corretta".

Forse se in Italia ci fossero le unioni civili - che mancano anche per le coppie etero, beninteso - le "difficoltà di vita" di cui parla Santanché sarebbero attenuate. O no?

Mentre l'opposizione accusa Berlusconi di volgarità e sessismo, Paolo Guzzanti è più malizioso e non crede che la frase sia una gaffe, ma un appello agli elettori: "È una frase che ha una presa popolare e il messaggio è molto semplice: meglio puttaniere che frocio. Ed è un messaggio rivolto a tanti italiani, uomini e donne. Non dimentichiamo che i fan della sessualità selvatica, e selvaggia, di Berlusconi, sono gli uomini che vorrebbero avere i suoi soldi e le sue donne, ma anche le donne stesse. Non tutte, ovviamente, ma tante. Che dicono 'con i tempi che corrono almeno a questo piacciono le donne'. La battuta di Berlusconi aveva un obiettivo preciso". Forse quello di mettere in difficoltà Vendola? E quindi, per Berlusconi è lui - e non Bersani - l'avversario alle prossime elezioni?

Chiuso il caso Ruby.

Il colpo di scena arriva alle cinque di pomeriggio, in una Procura dove già si aggirano le donne delle pulizie. Ma è invece Edmondo Bruti Liberati, procuratore della Repubblica, a dare un brusco colpo di spazzolone ad un pezzo rilevante del «Rubygate», l’indagine nata dai racconti della giovane marocchina sulle sue frequentazioni nella villa di Silvio Berlusconi. Da giorni, sui giornali e in Parlamento non si parlava d’altro che della telefonata con cui Berlusconi, la sera del 27 maggio, intervenne sui vertici della questura milanese, dove «Ruby» - ovvero Karima Rashida el Marhug - era stata portata. Come è noto, andò a finire che la diciassettenne «Ruby» venne consegnata alla consigliera regionale del Pdl, Nicole Minetti. Un abuso, un trattamento di favore, una truffa perpetrata dalla polizia su ordine del capo del governo, all'insaputa della Procura dei minori? Niente di tutto questo, dice Bruti Liberati: «A conclusione delle indagini abbiamo accertato che la fase dell’identificazione, del fotosegnalamento e dell’affidamento della giovane marocchina furono correttamente eseguite». Fine.

martedì 2 novembre 2010

Direzione Nazionale PDL.

Giovedì 4 novembre alle ore 12.00, presso il Complesso Monumentale di Santo Spirito in Saxia (Borgo di Santo Spirito, Roma), si terra’ la Direzione Nazionale del Popolo della Libertà.

L’ordine del giorno prevede:

1) Analisi della situazione politica.

2) Iniziative del Partito, dei Gruppi Parlamentari e del Governo per l’attuazione del programma elettorale del prossimo triennio.

3) Schema e Regolamento Assemblee Regionali e Provinciali.

4) Tesseramento e Congressi Provinciali e Comunali.

5) Il progetto dei “Team della Libertà”.

6) Surroga di un componente del Collegio Nazionale Probiviri (art. 44 Statuto).

7) Varie ed eventuali.

INCROCIAMO LE DITA E CHE SIA LA VOLTA BUONA.

BUON LAVORO A TUTTI !!!