lunedì 28 marzo 2011

Silvio, 17 anni in campo. Alla faccia dei gufi.

Il 28 marzo del 1994 Berlusconi conquistava per la prima volta Palazzo Chigi ribaltando le previsioni di tanti tra intellettuali e politici. Oggi come allora il premier è circondato da menagramo che ne annunciano la fine imminente. Ma che vengono smentiti a ogni elezione.



I sintomi erano chiarissimi, bastava un po’ di fiuto per capire che solo qualche mese dopo la vittoria, Berlusconi aveva già «perso lo stato di grazia». Non aveva proprio dubbi Beniamino Andreatta, padre nobile dell’Ulivo, solo nell’ottobre del ’94, sul fatto che il tycoon milanese avesse i giorni contati. Non serviva neppure una mente brillante come la sua per prevedere che «in pochi mesi di lui non sarebbe rimasto nulla sul piano politico». Provava addirittura (confessò all’Espresso) un «sentimento di pena per un uomo che ha voluto buttarsi in politica senza capire cosa vuol dire, e che ora si chiede cosa fa seduto su quella poltrona». Parliamo di diciassette anni fa (si votò proprio il 27-28 marzo), con Berlusconi sempre seduto sulla stessa poltrona. Una profezia. Una delle tante che sono rovinosamente cadute nell’oblio, come gli oroscopi di capodanno. Uno dei più scettici sulle possibilità di successo, e sull’inevitabile fine prematura delle velleità politiche del Cavaliere, fu Indro Montanelli. Alla fine del’93, a poche settimane dall’inizio della campagna elettorale e a rottura già consumata, il fondatore del Giornale disse apertamente cosa pensava di quell’avventura: «Pensa di essere un incrocio tra Churchill e De Gaulle, e ci crede veramente... Ma quando Berlusconi andrà in Parlamento tutti quanti si alzeranno e gli grideranno: Biscione, Biscione...». Insomma, un capriccio insostenibile alla lunga. I più convinti del fuoco di paglia erano nell’area delle macerie post-democristiane. Anche per questo Gianfranco Rotondi, un ex Dc, conserva molti ricordi di cattivi profeti tra i suoi ex compagni di partito in quel ’94. «Uno era Ciriaco De Mita - rievoca il ministro -. Disse che Berlusconi avrebbe avuto lo stesso destino dell’Uomo qualunque: una breve stagione prima di sparire nel nulla». In effetti non ci prese, mentre altri democristiani come Martinazzoli e Forlani («in politica gli scenari cambiano, e questo è destinato a durare molto») avevano intuito cos’era successo. Rocco Buttiglione invece parlò del rischio di una «deriva plebiscitaria» mentre salutava la fine del primo e forse ultimo governo Berlusconi.


Doveva essere la liberazione dal signore di Arcore, almeno nelle previsioni dei fini osservatori, più a loro agio con le teorie che con la realtà. Sempre nel dicembre del ’94, a ribaltone avvenuto, i giornali raccontavano un uomo finito, ormai da rottamare, uno che «in sette mesi è invecchiato sette anni e ingrassato sette chili». Finito, o quasi. Si vede che i menagramo portano fortuna, e il migliore di questi è senz’altro Massimo D’Alema, che ha dato per spacciato il Cavaliere una dozzina di volte, iniziando prestissimo. Già prima che l’altro vincesse le elezioni politiche di 17 anni fa, D’Alema aveva pronosticato per lui un futuro nerissimo, un Berlusconi costretto «a chiedere l’elemosina in via del Corso». Un altro esperto nel ramo è il fondatore di Repubblica, Eugenio Scalfari, che sempre nel ’94, qualche mese dopo il trionfo elettorale berlusconiano, era già sul chi va là: «Berlusconi è il nuovo re - scriveva il Fondatore - nuovo re per quanto? Anche Berlusconi comincia a scontentare e la sua stella non è più così fulgida». La prova schiacciante, per Scalfari, erano le confessioni fatte a lui da certi amici del Cavaliere. Veramente drammatiche e chiaramente preludio della fine. «A volte gli si rimprovera di parlar troppo, a volte troppo poco. Soprattutto dice sempre le stesse cose. Ma ci sono altri motivi d’insoddisfazione. “È incerto. Non decide. Si regola solo sui sondaggi. Non conosce i problemi. Ha scelto ministri di serie B. È mal consigliato. Non è colto”». Insomma per quello Scalfari d’annata la conclusione era evidente: «La verità è che il Paese ha fatto un’indigestione di Berlusconi, ha puntato su di lui, ha voluto credere a tutte le sue promesse, ha sognato con lui e con lui ha perfino cantato il karaoke. E adesso? Adesso si sente dire che bisogna fare sacrifici». Spacciato, finito, bollito: «Diamo ancora un po’ di tempo a Silvio, poi ci sarà il cambio di mano», scriveva Scalfari nel ’94. Sicuro. Entro il 2030 succede.

martedì 15 marzo 2011

Dichiarazioni fiscali in arrivo, tutti i documenti da raccogliere.



Le scadenze fiscali importanti stanno per arrivare. Prima tra tutte, la dichiarazione dei redditi per dipendenti e pensionati, cioè il modello 730. Niente panico, la scadenza non è immediata: il 730 va presentato al datore di lavoro entro il 2 maggio o al Caf entro il 31 maggio. Quello che invece è bene cominciare fin da ora è la raccolta delle "carte". Un'incombenza faticosa se non abbiamo l'abitudine di conservare con ordine i documenti, ma un passo fondamentale per arrivare all'appuntamento con il fisco con tutto ciò che serve. Ecco in sintesi quali sono i documenti da raccogliere per la dichiarazione dei redditi. Alcuni (come le certificazioni dei redditi) sono obbligatori, altri (come i giustificativi delle spese) sono facoltativi e vanno a vantaggio del contribuente. Tutta la documentazione è riferita all'anno passato.


REDDITI:

Copia della dichiarazione dei redditi dell'anno scorso (se è stata presentata).

Cud 2011, ovvero la certificazione dei redditi da lavoro (e assimilati) o pensione percepiti nel 2010 (che le aziende dovrebbero aver consegnato entro il 28 febbraio).

Certificazioni dei redditi del coniuge e di altri familiari fiscalmente a carico, se ce ne sono.

Certificazioni di altri eventuali redditi (es. collaborazioni occasionali, cessione di diritti d'autore, ecc.) che devono essere consegnate dal sostituto d'imposta (cioè da chi ha corrisposto il reddito).

Documentazione relativa agli assegni alimentari percepiti dal coniuge separato o divorziato.

IMMOBILI:

Atti notarili di immobili acquistati, ereditati o venduti nel corso del 2010.

Ricevute di pagamento dell’Ici nel 2010.

Contratti per immobili dati in affitto (redditi da locazione).

SPESE DETRAIBILI:

Ricevute per ticket sanitari e visite mediche private, scontrini fiscali per acquisto di farmaci (che devono riportare il codice fiscale del contribuente).

Documentazione relativa al pagamento degli interessi passivi su mutui per la "prima casa".

Polizze di assicurazione vita e infortuni.

Polizza Rc Auto in cui è incorporato il contributo Ssn (detraibile).

Ricevute delle tasse scolastiche per i figli.

Fatture per spese funebri di congiunti.

Ricevute per erogazioni liberali (donazioni) alle Onlus.

Assegni alimentari corrisposti al coniuge separato o divorziato.

Ricevute di versamenti per pensioni integrative.

Fatture per interventi di recupero edilizio (detrazione del 36%) ed eventuali fatture sostenute per l’acquisto di mobili destinati all’arredo.

Fatture per interventi finalizzati al risparmio energetico degli edifici (detrazione del 55%).

venerdì 11 marzo 2011

LA MADRE DI TUTTE LE RIFORME.

Il cardine della riforma della giustizia è la divisione tra giudici e Pm: pone al centro la parità tra accusa e difesa. Il giudice diventa colui che è davvero sopra le parti, perché non è più pari al Pm.
Finora i piatti della bilancia erano sbilanciati a favore dei magistrati: da una parte c'erano giudici e Pm, dall'altra il cittadino solo. Ora invece i piatti sono stati messi su un unico piano: in una condizione di parità.
Altro punto fondamentale: la responsabilità civile dei magistrati, al pari di tutti gli altri dipendenti dello Stato. Se sbaglia il medico è responsabile e il cittadino può citarlo. Così potrà avvenire anche per il magistrato. Si attua il principio della legge uguale per tutti.
La riforma non riguarderà i processi in corso alla data della sua entrata in vigore, pertanto non si potrà assolutamente parlare di legge ad personam, ma di legge fatta nell’interesse di tutti i cittadini.

martedì 1 marzo 2011

Fini: ultime parole famose...

"Se fallisce il progetto del Fli lascio la politica". E' Gianfranco Fini in persona a dirlo, ospite di Lilli Gruber a Otto e mezzo. Parole d'effetto, certo, molto rare per un politico italiano. E quale sarebbe l'indice di misura dell'eventuale fallimento? Fini dice: "Sarebbero gli italiani a dirmi di andare a casa. In questa partita politica mi gioco tutto, ma ho fiducia nella capacità degli italiani di valutare la mia scommessa".

Fini crede di avere un 7-8 % di consensi nell'elettorato di centrodestra che non si riconosce in Berlusconi. E, sul premier, dice che ha fatto dietrofront sulle elezioni anticipate "perché ora si rende conto di non godere della fiducia degli italiani". E inoltre: "È evidente che il presidente del Consiglio esorcizza la nuova situazione dicendo che lui è il più amato dagli italiani. Sia comunque ben chiaro che lui ha tutto il diritto di non andare al voto".

Il voto, appunto. In pratica, se Fli avrà un buon risultato elettorale, Fini resterà. Se no, a casa. Le ultime parole famose? In caso di sconfitta (e di quanto, eventualmente?) Fini uscirà dalla porta per poi rientrare dalla finestra come ad esempio Waterloo Veltroni? Ah, saperlo...