martedì 31 maggio 2011

Il perché della sconfitta.

Il centrodestra, se le proiezioni non verranno smentite, ha perso e non è certo una sorpresa. Ora si tratta di analizzare le ragioni della sconfitta. A caldo ne individuo tre.


1 Comunicazione disastrosa. Questa campagna elettorale verrà ricordata come la peggiore della Seconda Repubblica, soprattutto a Milano. La Moratti è riuscita a sbagliare tutte le mosse. Per vincere bisogna avere un candidato forte e un'idea vincente. Obama e Yes We Can, Sarkozy e Insieme tutto è possibile. La Moratti, in partenza, era debole in quanto giudicata antipatica dalla maggior parte dei milanesi. Avrebbe dovuto compensare la sua evidente impopolarità con uno slogan vincente o vantando il buon governo della città. Ma non ha trovato lo slogan e non è riuscita a dimostrare di aver fatto grandi cose per la città; così, nel subconscio degli elettori è rimasta l'antipatia e un'impalpabile diffidenza, che le sue ripetute gaffe hanno accentuato. Quella sulla condanna di Pisapia le è costato il primo turno, ma nelle ultime due settimane la Moratti non ne ha azzeccata una. Come si fa a recarsi, non invitata, a una manifestazione di disabili, indetta per sostenere Pisapia? C'è da stupirsi se finisce a fischi e ululati? Che senso ha inviare all'ultimo giorno di campagna una lettera di scuse a Pisapia, ma in forma privata, meravigliandosi che questi si rifiuti di renderla pubblica? Rinnegando l'Ecopass, promettendo di cancellare le multe e firmando accordi clientelari con i taxisti si comunica disperazione, volubilità, non la solidità richiesta dai milanesi. Sia chiaro: Pisapia era un candidato debolissimo. Ha vinto perché ha trovato di fronte a sé un candidato ancor più debole di lui. E perché i suoi consulenti hanno condotto una campagna elettorale ben calibrata sia nei toni che nelle argomentazioni.


2 Il fattore Berlusconi. Per anni il Cavaliere ci ha abituati a campagne elettorali strepitose. Come comunicatore di solito è un fuoriclasse, come riconoscono anche i sinistri intellettualmente onesti. Però in questa campagna è mancato il suo guizzo vincente; anzi la sua visione di gioco. Per la prima volta dal '93 ha sbagliato i tempi della partita, mostrandosi o troppo aggressivo o troppo rassicurante e rimanendo a lungo in silenzio, proprio quando, all'indomani del risultato del primo turno, i suoi estimatori aspettavano ansiosamente che battesse un colpo, che imprimesse una svolta. Insomma, è sembrato un fuoriclasse che dopo una lunga e strepitosa stagione, non dà il meglio di sé in una finale. Capita anche ai migliori e Berlusconi saprà di sicuro valutarne le ragioni. C'è da chiedersi che cosa sarebbe successo se non si fosse impegnato in prima persona; verosimilmente sarebbe andata persino peggio. Ma la sorpresa è grande e i suoi nemici cercheranno di approfittarne in un dopo-elezioni che si annuncia tempestoso, dentro e fuori la coalizione.


3 La pancia della gente. Il Pdl piange, ma la Lega certo non ride. Fino ad oggi si pensava che i voti in uscita dal Pdl fossero destinati a un Carroccio, capace di cogliere e interpretare i malumori della gente. Invece appare chiaro che la Lega non può più presentarsi al contempo come forza di governo e di opposizione e che iniziative ad alto ritorno mediatico, come il boicottaggio delle celebrazioni per il 150esimo dell'Unità d'Italia, sublimano le pulsioni dell'elettorato più oltranzista, ma allontanano gli elettori moderati e non servono nemmeno a intercettare il voto di protesta.



Il dato più significativo di queste elezioni è che, per la prima volta, nessun partito di centrodestra ha saputo catalizzare il malumore degli italiani. Chi voleva protestare, perché scontento per il modo in cui la propria città era amministrata (come a Napoli) o perché insoddisfatto della situazione del Paese, ha votato per candidati outsider quali Pisapia e De Magistris o per i grillini o, tra i moderati, si è astenuto; non ha certo scelto i grandi partiti. E questo dovrebbe preoccupare innanzitutto Pdl e Lega, ma anche il Pd, che non ha trionfato e che appare lontano dal cuore della gente.


Da queste elezioni emerge un'Italia diversa, meno compiacente, più arrabbiata e imprevedibile, che pretende di essere capita e confortata con i fatti, sia a destra che a sinistra. Chi ha orecchie per intendere, intenda!



lunedì 30 maggio 2011

Silvio aprirà un nuovo corso del PDL.

Due giorni a Villa Certosa per iniziare a metabolizzare quella che oggi pomeriggio potrebbe trasformarsi in una vera e propria batosta. Silvio Berlusconi, infatti, è ben consapevole che Milano e Napoli sono a rischio e che una doppia sconfitta potrebbe dare il là a uno tsunami di dimensioni bibliche, pronto ad abbattersi non solo sulla maggioranza di governo ma anche sul partito. Lo sa e non lo nasconde nelle sue conversazioni private del fine settimana durante le quali confida a più di un interlocutore l’intenzione di aprire un nuovo corso del Pdl.


E se nel partito è da giorni che si discute su come cambiare marcia (è di ieri la proposta di Franco Frattini di creare un direttorio che rappresenti tutte le anime del Pdl), il Cavaliere sarebbe arrivato alla conclusione che la strada migliore è quella di dare il via agli Stati generali del Pdl. Una sorta di grande assise degli eletti - dai parlamentari fino a tutti i consiglieri comunali - da tenersi prima dell’estate per dare il via al confronto interno. Un modo per iniziare il percorso congressuale, appuntamento questo non certo dietro l’angolo. Non solo perché l’estate è alle porte ma anche perché un momento politicamente così importante deve necessariamente essere preparato con cura senza rischiare di essere l’ennesimo elemento di tensione all’interno di una maggioranza che già non gode di buonissima salute.


Ecco il perché degli Stati generali. Un appuntamento che segnerebbe un primo elemento di discontinuità e che darebbe alle varie correnti interne la possibilità di organizzarsi e confrontarsi. Anche perché a breve il Cavaliere pare non abbia intenzione di rivoluzionare il partito e, anche se i ballottaggi dovessero andare male, Denis Verdini e Ignazio La Russa dovrebbero restare ai vertici di via dell’Umiltà (diversa la condizione di Sandro Bondi che da tempo ha deciso di restare un passo indietro gli altri due triumviri). Una loro sostituzione, soprattutto quella del ministro della Difesa, aprirebbe infatti altre crepe in una maggioranza già alle prese con le beghe dei Responsabili e che nei prossimi giorni dovrà ritrovarsi compatta nel voto su quella pseudo-verifica chiesta settimane fa da Giorgio Napolitano.


La disputa interna al Pdl, dunque, sarà certamente un tema caldo dei prossimi giorni. Già ieri, infatti, La Russa ha sostanzialmente bocciato la proposta Frattini, poco gradita anche ad Osvaldo Napoli, vicepresidente dei deputati del Pdl solitamente in sintonia con il Cavaliere. Ma sul tavolo dell’ufficio di presidenza del partito che si terrà domani sera a urne chiuse a Palazzo Grazioli c’è soprattutto il governo. Perché, spiega il vicepresidente dei senatori Gaetano Quagliariello, «il partito è come l’intendenza» e dunque «segue». La priorità, insomma, è rilanciare l’azione di governo per restare in sella i prossimi due anni.
A partire dall’economia e aprendo un confronto serio con Giulio Tremonti. «Non conflittuale ma costruttivo», spiega un dirigente di peso del Pdl. Perché il titolare di via XX Settembre «è sulla nostra stessa barca». D’altra parte, il flop della Lega pare sia dovuto anche agli scarsi risultati ottenuti sul fronte fiscale nonostante il Carroccio vanti da sempre un rapporto privilegiato con Tremonti. Il quale, spiegano off record moltissimi esponenti pidiellini, «deve decidere da che parte stare e parlare chiaro». Non è il momento di aprire fronti con Tremonti, dunque. Anche se nel Pdl sono in molti a chiedere che la politica economica del governo sia frutto di scelte condivise. E che ci sia un momento in cui discutere queste scelte. Non sarà una cabina di regia ma poco ci manca. Si vedrà. Anche a seconda di come finiranno i ballottaggi. Che il Cavaliere seguirà da Bucarest dopo è atteso in tarda mattinata per una visita di Stato che si concluderà domani pomeriggio.


giovedì 19 maggio 2011

Formigoni decripta il messaggio mandato al centrodestra dagli elettori.



Guardando dall’alto del suo ufficio nella nuova sede regionale, che cosa vede il presidente Formigoni? Milano è sempre Milano? Vi sentite un po’ traditi? «Traditi no, non direi. Certamente, però, ci ha mandato un segnale forte». Martedì 17 maggio, è passata solo una notte da quello che il governatore lombardo definisce un «voto di midterm», instaurando un parallelo tra la sconfitta del Pdl in città e i risultati «che George Bush, cinque anni fa, e Barack Obama, solo sei mesi fa, ottennero nelle elezioni statunitensi di medio termine». Il paragone rientra, ovviamente, nella casistica dei “parallelismi impossibili”, ma a Roberto Formigoni serve da spunto per cogliere quello che lui definisce il “messaggio politico” che l’elettorato ha voluto recapitare ai dirigenti del centrodestra: «Come gli elettorati repubblicano e democratico in quelle occasioni, anche il nostro ha voluto esprimere un malessere e un disagio. Lo ha fatto in maniera forte e decisa, ma senza tradirci. L’ha fatto, infatti, nell’unica occasione in cui esso è rimediabile. Così il voto si è disperso, è andato in libera uscita. Ora sta a noi riportarlo a casa, innanzitutto, dicendo a questi cittadini che “abbiamo capito, rimedieremo”». Il tempo si fa breve. Basteranno quindici giorni? I ballottaggi sono il 29 e 30 maggio: «È una sfida, possiamo farcela. A patto che l’analisi degli errori sia schietta e si cambi strategia».



Il voto milanese è quello che ha destato maggiori sorprese; è quello simbolicamente e strategicamente più importante anche in ottica nazionale. I numeri dicono che Giuliano Pisapia andrà al secondo turno col 48 per cento dei consensi, il sindaco uscente Letizia Moratti col 41.
Per leggere nella loro interezza questi numeri dobbiamo paragonarli con quelli delle ultime comunali. Pisapia ha ottenuto solo un punto percentuale in più di Bruno Ferrante, il candidato del centrosinistra nel 2006. Moratti ne ha persi dieci. Di questi, cinque li metto in carico a un logoramento, direi fisiologico, che si paga quando si governa e alla fuoriuscita di Udc e Fli, che erano con noi nella precedente elezione.



Quindi la domanda da farsi è: che fine hanno fatto gli altri cinque?


Appunto. Dove sono andati? Li abbiamo persi, ma, io credo, non per sempre. Questo è stato un voto con cui gli elettori hanno voluto punire il centrodestra. Tutto il centrodestra, sia il Pdl sia la Lega. Concentrare le analisi solo su una causa o le colpe solo su una persona è sbagliato. È stratagemma di comodo per nascondere le proprie responsabilità che, ripeto, sono di tutti. Sul risultato hanno giocato una serie di concause e non credo, come già vedo fare, che la croce vada gettata addosso solo a Moratti e Berlusconi. Ha influito la situazione locale della città, il lavoro del governo, la guerra in Libia e, fatto che non sottovaluterei, l’alleggerimento del portafoglio in questi anni di crisi economica.



Le concause che ha elencato erano note prima del voto; che si rischiasse il ballottaggio era prevedibile. Si aspettava, però, che Pisapia partisse in vantaggio?


Diciamo che mi auguravo, fatto salvo il calo fisiologico di cui ho detto, di riconfermare il dato del 2006.



Anche senza i voti in fuoriuscita verso il Terzo Polo?


Non c’è stato travaso di consensi, né verso sinistra né verso il Terzo Polo. Rispetto a questi ultimi, e il risultato del partito di Fini me ne dà conferma, è da tempo che metto in guardia dai sondaggi generosi su Fli. L’italiano può anche avere simpatia per Fini o Casini, ma sa che a vincere non saranno loro. L’Italia è bipolare, il voto è bipolare. Il nostro elettore non ha cambiato casacca. Non ha scelto altro, ha rifiutato noi.



Non pare essersi nemmeno spostato verso la Lega. Un analista attento come Roberto D’Alimonte ha scritto sul Sole 24 Ore che, «contrariamente alle aspettative i delusi di Berlusconi non hanno votato Bossi». Più di un osservatore aveva infatti previsto che, viste le difficoltà del Pdl, molti consensi si sarebbero trasferiti verso il Carroccio. A questo proposito, in molti avevano interpretato come fuoco amico certe uscite pubbliche di esponenti leghisti. E non è mancata nemmeno l’accusa alla Lega di essere stata troppo tiepida nel sostenere la Moratti.


Non è corretto imputare alla Lega il risultato di Milano. Da quando ha deciso di sostenere il candidato sindaco, lo ha fatto lealmente. Certo, qualcosa va chiarito, come quella frase pronunciata dal leghista Davide Boni, il presidente del Consiglio regionale lombardo, secondo cui «è innegabile che qualcuno dei nostri a Milano abbia dato un voto disgiunto». Sono certo che Boni saprà spiegare, anche perché – come dicono i numeri – né Pdl né Lega possono cantare vittoria. Anche loro, rispetto alle ultime regionali, sono calati di 5 punti.



Ora avete quindici giorni per rimediare. Cosa propone Formigoni per vincere il ballottaggio di Milano?


Primo: dire ai nostri elettori: “Abbiamo imparato la lezione. Abbiamo compreso il messaggio di malessere che ci avete inviato”. Secondo: cambiare strategia comunicativa, smetterla con i toni urlati. Milano è una città moderata e pragmatica, insofferente alle chiacchiere e agli attacchi personali rivolti agli avversari. Qui ci si aspetta che la politica offra soluzioni concrete sul federalismo, sulle riforme, sull’Expo. Su questo appuntamento del 2015 abbiamo sbagliato molto dal punto di vista della comunicazione. Dovevamo chiarire subito che i primi risultati si sarebbero visti fra qualche anno, ora è il tempo delle scartoffie e delle carte bollate. Invece ci siamo fatti prendere dalla frenesia, creando un’aspettativa che, inevitabilmente, ha comportato una delusione. Uscendo dal caso particolare e ritornando al generale, ciò che ora dobbiamo riuscire a far passare è che è importante che Milano torni a essere guidata da una visione riformista, ottimista e moderata che qui in Lombardia è stata sempre incarnata da Berlusconi e dai berlusconiani.



Sinceramente, il presidente del Consiglio non pare proprio aver condotto una campagna elettorale nel segno della moderazione. Anzi.


Ma lui è scusabile! Voglio dire: a chi non “girerebbero le balle”? È perennemente inseguito dai suoi processi, il “giro di balle” è legittimo. Quel che non è più scusabile è, invece, riproporre in queste due settimane una campagna elettorale gridata, a tratti arrogante, come è stata finora condotta da certi “berluschini”. E non mi faccia fare nomi, ci sarà tempo fra quindici giorni per analizzare le responsabilità specifiche.



Questo voto mette a repentaglio la stabilità del governo?


No. Se, prescindendo da Milano, guardiamo i dati a livello nazionale non vediamo un arretramento. Abbiamo guadagnato qualche sindaco, abbiamo mantenuto il nostro consenso. Certo, il voto mette in rilievo un certo disagio anche verso il governo, ma Berlusconi ha una maggioranza. Occorre che quest’ultima lavori con maggior lena e che compia gesti concreti. Serve dare segnali, dopo un periodo di instabilità economica e di tagli. Guardiamo anche agli altri paesi: Angela Merkel e Nicolas Sarkozy sono usciti molto più malconci di Berlusconi dalle ultime elezioni. Con la crisi internazionale che c’è, in fondo, il premier è stato capace di difendersi molto meglio dei suoi pari grado europei. Teniamo anche conto della guerra in Libia, un conflitto che abbiamo subito e in cui siamo stati costretti a impegnarci. Non giriamoci troppo intorno: l’80 per cento degli italiani è contrario alla guerra. Inevitabile pagarla nelle urne.



Fa bene il segretario del Pd Pierluigi Bersani a cantare vittoria?


Contento lui… A Torino Piero Fassino ha preso dieci punti in meno di Sergio Chiamparino, a Bologna ce l’hanno fatta per un soffio, a Milano il candidato è di Rifondazione. Per non parlare di Napoli, dove Luigi De Magistris li ha fagocitati. In generale, fossi in lui, sarei molto preoccupato: la morsa Vendola-Di Pietro si sta stringendo.



Mentre si allarga il consenso del Movimento Cinque Stelle di Beppe Grillo.


È un segnale dell’insofferenza dell’elettorato di sinistra. Negli anni passati questo spaesamento è andato a vantaggio, a turno, dei Radicali, dei vendoliani, dei dipietristi. Oggi tocca a loro. È un fenomeno che colpisce la sinistra, ma in quell’amalgama indistinto c’è anche una componente di destra. Bisognerebbe vederli in un’esperienza di governo. Troppo facile limitarsi a fischiare dalla platea.



(intervista tratta del settimanale Tempi)

mercoledì 18 maggio 2011

Gli eletti a Mantova





Purtroppo non è andata come speravamo, cioè vincere al primo turno. Dobbiamo quindi andare al ballottaggio e ricominciare la campagna elettorale. Lo scopo deve essere quello di andare a motivare gli indecisi e gli scontenti. Possiamo ancora farcela!


In allegato potete vedere i risultati delle urne, comunque vada il ballottaggio i 4 evidenziati in giallo saranno eletti. Complimenti e buon lavoro! Se invece Fava dovesse farcela su Pastacci gli eletti del PDL saranno i primi 7.



Buona campagna a tutti!

giovedì 12 maggio 2011

Elezioni. Formigoni fa tappa a Viadana e Mantova.








(Mantova, 10 mag) Appuntamento in terra mantovana per il Presidente della Regione Lombardia Roberto Formigoni, atteso nel pomeriggio di giovedì 12 per due incontri elettorali a supporto dei candidati del centrodestra per le elezioni di domenica e lunedì prossimi. Prima tappa a Viadana, dove il Governatore terrà un comizio in Piazza Matteotti a sostegno del candidato sindaco Cesare Barzoni. Con lui, sul palco, il candidato alla presidenza della Provincia Gianni Fava, il coordinatore provinciale PdL Carlo Maccari e numerosi candidati nei collegi provinciali limitrofi.


Formigoni e Maccari si trasferiranno poi a Mantova, dove si terrà un incontro-aperitivo in Piazza Mantegna. Presente, tra gli altri, il sindaco Nicola Sodano.


“Il Presidente Formigoni –commenta Carlo Maccari- era già stato nella nostra provincia qualche settimana fa. Il suo ritorno è un segnale di grande sensibilità nei confronti del territorio e un ulteriore stimolo per far bene in vista del voto di questo fine settimana”.


Programma:


Ore 17.30 – Viadana – Piazza Matteotti

Ore 18.30 – Mantova – Piazza Mantegna

martedì 10 maggio 2011

VOTA BERLUSCONI !

Salve Gabriele,


come sempre, l'ultima settimana di campagna elettorale è iniziata in un clima incandescente.

E' chiaro a tutti che il voto di Milano sarà molto importante e per questo ti chiediamo il massimo sforzo con i tuoi amici e conoscenti, per invitarli a votare Letizia Moratti e scrivere Berlusconi sulla scheda, accanto al simobolo del PDL.

Qui puoi tovare un "santino" da far girare per posta elettronica ai tuoi amici milanesi. E in questa pagina trovi un simpatico spot che puoi far girare e far sentire a tutti coloro che possono votarci.

Ciascuno di noi ha almeno un amico a Milano da coinvolgere e motivare al voto per Berlusconi e per Letizia Moratti. Questi sono i giorni, decisivi, in cui darci da fare.


Grazie per il tuo impegno. A presto,


on. Antonio Palmieri
responsabile internet PDL